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I QUADRI NUOVI DELL'IMPERATORE     v.2
Liberamente tratto da "I Vestiti Nuovi dell'Imperatore" di H. C. Andersen

Il sindaco della piccola città di Kandinsky stava col capo chino mentre così parlava al cospetto del sovrano che lo aveva convocato: "Si, mio signore. Già da qualche tempo un grande artista ha aperto una bottega fuori città" "Cosa dicono delle sue opere? Ah, meraviglie! Dicono che siano bellissime, talmente belle da risultare invisibili ad ignoranti e incapaci!"
Il sovrano era scuro in volto, gli era arrivato all'orecchio che qualche nobiluccio della contea delle Damoiselles d'Avignone fosse in trattative per accaparrarsi qualcuna di quelle opere.
Non si scherzava col sovrano di Pompadur: raffinatissimo nell'abbigliamento e grande collezionista, non poteva permettere che qualche suo inferiore gli soffiasse qualcosa. Le cose più belle dovevano essere sue!
"Bene, caro sindaco, allora è suo dovere recarsi personalmente presso l'atelier di questo grande artista ed accertare se si tratti davvero di opere eccezionali o se siamo davanti ad un cialtrone!" L'uomo, che non brillava per gusto estetico e cultura, tentò di evitare quello scomodo incarico imbastendo delle scuse, ma il sovrano tagliò corto: "Aspetto a brevissimo una sua visita per informarmi!" e lo fece allontanare.
Il giorno dopo il sindaco era nuovamente al suo cospetto e così rendicontò: "Oh, davvero opere bellissime, mio signore! Meravigliosi colori metastatici che creano spazi infiniti tra il rumeno e il fenicottero, capaci di creare la forma dell'infinito!".
Il sovrano, rimasto perplesso da quella descrizione, volle vederci più chiaro ed inviò presso quell'atelier il suo primo ministro in persona. Anche quello al ritorno confermò la bellezza delle opere così dicendo: "Meravigliosi colori metafisici che creano spazi infiniti tra noumeno e fenomeno, capaci di creare la forma dell'infinito".
Ma il sovrano non era ancora convinto e così inviò anche il suo consulente artistico, lui avrebbe saputo informarlo in maniera chiara ed esaustiva. Anche questi al ritorno glorificò le opere con le stesse parole, ma dette meglio e con qualche fronzolo in più.

Il sovrano era arrabbiato in cuor suo per quella descrizione e decise allora che fosse arrivato il momento che egli stesso andasse a vedere quelle meraviglie.
Con un seguito di venti armigeri a cavallo giunse alla bottega dell'artista e questi, saputo chi era, lo ricevette con molti onori facendogli visitare il grande studio. In fondo campeggiava un enorme cavalletto, coperto con un altrettanto grande drappo rosso. Alla domanda del sovrano di cosa fosse, egli rispose: "Quella è la mia ultima opera sire, appena completata... Volete vederla? Voi certamente potrete apprezzarla, visto che la sua superiore bellezza la rende visibile solo alle persone più raffinate e intelligenti, mentre resta invisibile agli ignoranti e agli incapaci" e con un ampio gesto del braccio fece svolazzare via il grande manto. Ora l'opera gli si parava davanti senza veli. "Cosa ve ne sembra, sua maestà? Apprezzate i colori assoluti eppure metafisici, che creano spazi infiniti tra il noumeno e il fenomeno, generando la forma dell'infinito!".
Il sovrano strizzava gli occhi: sulla tela non vedeva niente, questa gli sembrava bianca, intonsa come appena preparata. Si sforzava e intanto i pensieri andavano a mille: possibile che fosse un incapace? O era colpa degli occhiali? E quella frase, che aveva sentito identica dai suoi collaboratori?
Sembrava una situazione confusa e imbarazzante, ma il sovrano di Pompadur era pur sempre il sovrano e non doveva giustificarsi con nessuno, e quindi avvertiva che in tutto questo c'era qualcosa di positivo, qualcosa di importante. Così, dopo qualche secondo di silenzio rispose secco, quasi senza accorgersene: "Bellissima! Ne voglio cinquanta! Le esporrò in un museo che allestirò appositamente! Parli con i miei contabili per il conto! Non bado a spese!". E se ne andò.

Era passato poco più di un mese che arrivò il giorno dell'inaugurazione di questo museo. Fuori al grande ingresso quattro trombettieri suonarono all'arrivo del sovrano, mentre il popolo dalla piazza lo acclamava. La grande porta d'ingresso venne spalancata da due valletti e il sovrano entrò, seguito dalla sua corte, mentre un gran numero di armigeri era collocato a sinistra e a destra del percorso. Dopo di loro, tenuta a distanza da altri armigeri armati di alabarde, seguiva la plebe, anch'essa invitata all'evento.
Così, questa lunga processione si snodava lungo le grandi sale del museo, dove erano esposte una dietro l'altra un bel numero di opere del famoso artista. Non si era arrivati neppure a metà del percorso che si alzò dal gruppone della plebe la voce di un bambino "Ma le opere sono tutte bianche!". Un gruppetto di armigeri si mosse puntando le alabarde verso la folla da dove era venuta la voce, ma il sovrano si voltò calmo e sorridente, facendogli cenno di tornare al loro posto. "Vedete?" disse con tono saggio rivolgendosi alla sua corte "Guardate com'è brutta l'ignoranza, un mostro orribile che ottunde la mente e impedisce di vedere il sublime, l'invisibile!"
Poi, ispirato, continuò "Ho deciso pertanto che da oggi in questo museo saranno sempre presenti guide che spiegheranno a coloro che lo visiteranno il significato di queste opere!" "Prendiamo per esempio questa" fece, avvicinandosi ad una il cui cartellino diceva Madonna in Cielo, "apprezzate i colori assoluti eppure metafisici, che creano spazi infiniti tra il noumeno e il fenomeno, generando la forma dell'infinito! Lo so, lo so, non è una cosa per tutti, è difficile per voi, ma migliorandovi e seguendo le indicazioni delle nostre guide, riuscirete anche voi a vedere queste meraviglie!".
La sua corte applaudì con fervore e il popolo la seguì a ruota. Allora il sovrano si mise nuovamente a capo della processione e questa continuò lungo il suo percorso.