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IL MISTERO DEI CAPPOTTONI     v.12

In città quella sera imperversava una tempesta più violenta del solito. Vento e pioggia frustavano senza rispetto le strade, facendo volar via la spazzatura e mettendo in fuga i passanti.
Uno di loro, con il suo piccolo cane, aveva trovato riparo sotto la pensilina di un negozio chiuso da molti anni: l'Antica Pasticceria Caffè Dorian. L'omino conosceva bene quel posto, da bambino il padre lo portava lì la domenica a prendere il gelato. Ora Le saracinesche dei quattro grandi archi d'ingresso sembravano quadri di Rotella per le scritte, le locandine e i poster che vi si erano sovrapposti negli anni, ma allora il Caffè Dorian era il locale più bello della città, forse dell'intera nazione. Capitani d'industria, statisti, scrittori, stilisti, attori, sportivi internazionali, insomma tutto il bel mondo dell'epoca passava per quel locale e con loro paparazzi, curiosi e turisti. All'interno alti soffitti a volta, archi, specchi, colonne, statue, intarsi e decorazioni si susseguivano scintillanti, in una luce che aveva il colore di un gioiello d'oro massiccio. Ma prima che iniziassero gli anni settanta il locale chiuse improvvisamente i battenti, forse anche per la morte del suo proprietario. Da allora le saracinesche di quegli splendidi archi rimasero serrate.
Sopra quegli archi ancora campeggiava l'enorme insegna logorata dal tempo.
E proprio da lì, sopra la sua testa, il tipo avvertì uno scricchiolio. Gli sembrò che per il vento una delle lettere dell'insegna si fosse inclinata. Non stette lì tanto a pensare e si allontanò rapidamente, ritenendo più saggio tornare a casa prendendo un pò di pioggia che beccarsi un'insegna sulla testa.

Quando però qualche giorno dopo l'uomo ripassò lì davanti, notò che la lettera dell'insegna era ancora lì, dritta come sempre. Quella sera si era sbagliato? Era possibile.
Tuttavia quel pensiero gli tornava in mente ogni volta che passava, cosa che lo costringeva sempre a dare un'occhiata al locale. Questa vicenda aveva riattivato la sua vecchia passione per i gialli e stava diventando una vera fissazione, a tal punto che si decise a parlarne ad un suo conoscente, che si vantava di essere stato commissario in una piccola città vicina, anche se ora faceva la guardia giurata in un centro commerciale. Charly, così si faceva chiamare il tipo, era un uomo pesante, con una faccia ottusa. Con i suoi modi spicci, ipotizzando che qualcuno fosse entrato nel locale e dalle piccole finestre del primo piano avesse risistemato l'insegna, gli consigliò di verificare se intorno ci fosse qualche segno di attività recenti.
Così la sera dopo, senza farsi notare dai passanti, il nostro amico si mise ad esaminare i bordi delle saracinesche e poi i loro robusti catenacci, fiducioso di trovare tracce significative. Ma i catenacci erano arrugginiti di brutto. Certo nessuno li aveva toccati da molti anni e probabilmente non sarebbe stato possibile aprirli neppure volendo. La cosa lo contrariò non poco, mandando a monte tutta una serie di ipotesi avventurose che si era costruito in testa. Pertanto, decise che non era il caso di pensarci oltre anzi, offeso, decise di cambiare il percorso delle sue passeggiate.

Una sera passeggiava svogliatamente con il piccolo cane al guinzaglio lungo il suo nuovo tragitto, quando notò due individui che si avviavano verso un portoncino che si era improvvisamente aperto. I due camminavano affiancati ma senza parlarsi, come se non si conoscessero. Portavano cappotti lunghi fin quasi ai piedi, cappelli calcati in testa e piccole borse a mano. Niente di così strano, ma la scena, illuminata dalla luce offuscata dei lampioni, gli fece tornare alla mente certe ambientazioni di monaci medievali che si vedono nei film storici. Forse spinto da questa immagine affascinante, decise di fare il giro dell'isolato e di posizionarsi poco distante, dietro una colonna.
Passarono pochi minuti ed altre due persone con un abbigliamento simile entrarono nello stesso portone. Poi altre ancora, alcune a piedi, altre accompagnate da auto o da taxi. Dovette ammettere che non c'era niente di preoccupante, anzi sembravano tutti persone per bene, forse stavano soltanto andando a casa di amici. Ricordando l'esperienza precedente, decise di non farsi prendere troppo dalla vicenda, ma passando spesso per quella strada, dovette constatare che quello strano movimento avveniva periodicamente. Così qualche mese dopo tornò nuovamente dal suo amico ex poliziotto a raccontargli anche questa storia.
Costui non era un tipo riflessivo come il nostro amico e, stuzzicato da questa nuova storia più che dalla precedente, subito organizzò una missione in zona.
Stavolta partecipò in prima persona all'operazione, che consisteva nel sopralluogo dell'edificio in cui entravano i sospetti. Arrivati sul posto, il portoncino incriminato risultò un normale portone ad apertura elettrica, che dava in un'antiquata rampa di scale sulla quale affacciavano le porte dei vari appartamenti, anch'esse dall'aspetto datato. Di sotto, come c'era da aspettarsi, si trovavano le cantine. Tutto regolare, neppure i nomi sul citofono sembrava potessero dare informazioni utili. Insomma, nonostante l'impegno, il risultato fu un fiasco.

Un pò infastidito Charly però non si arrese e propose una missione più ardita: l'idea era quella di vestirsi con abiti simili ai sospetti e di entrare disinvoltamente nel portone, come se fossero due di loro. Ma per attuare il piano c'era bisogno di sapere quando si sarebbe ripetuto l'evento e non c'era altro modo se non appostandosi in zona ogni sera, con l'abbigliamento giusto, pronti ad entrare in azione. I due passarono più di una sera all'addiaccio in attesa dei misteriosi personaggi, finchè finalmente notarono un certo movimento. Ancora una volta, persone con lunghi cappotti si avviavano verso il portoncino.
Era il momento! Aspettarono che il percorso fosse sgombro e si avviarono anch'essi verso il portone, ben chiusi nei loro cappottoni. Questo si aprì come previsto e i due entrarono. Nell'androne si guardarono intorno interdetti, finchè Charly non notò che una delle porte del pianerottolo era socchiusa e vi si intrufolarono. Dentro non c'era nessuno, ma l'ambiente era illuminato, cosa che gli fece ritenere di essere sulla buona strada. Si avviarono per quello che all'inizio sembrava un corridoio ma poi prese più l'aspetto di un irregolare labirinto. Dal passaggio stretto, si arrivava in slarghi che sembravano stanze che poi accedevano in altri corridoi, Si girava a destra, poi a sinistra, a volte si scendeva qualche scalino, altre volte si risaliva. Ai lati si incrociavano spesso porte chiuse con piccoli lucchetti. I muri erano tappezzati con diversi tipi di carta da parati, intervallata da pochi mobili di fogge e stili svariati e una serie di appliques dalla luce fioca. L'ambiente era datato come il resto dell'edificio, ma ordinato e pulito.
Erano ormai andati molto avanti e il nostro amico, accaldato e preoccupato, cominciò a tirare per la manica del cappotto il poliziotto per convincerlo a lasciar perdere. Ma quello non demordeva anzi, procedeva più spedito. "Dovrà finire!" diceva a mezza voce.
Vista la sua determinazione, dopo qualche altro metro il nostro eroe si fermò e disse all'altro, gridandogli sotto voce "Io mollo amico! Non vado a rischiar la vita! Questi qui sono satanisti, o terroristi!". Ma quello non lo ascoltava e proseguì da solo, finchè intravvide un piccolo slargo meglio illuminato. In fondo a questo si coglieva un tavolino e dietro una figura. Rallentò. Il tipo certo lo aveva visto, ma non dava segni di aggressività, rimaneva lì immobile. Così Carly si tranquillizzò e avanzò. Ad una certa distanza, la figura risultò essere un omone ben vestito e sorridente. Un sorriso che però si spense subito quando i due si trovarono a distanza ravvicinata. L'omone prima arretrò lentamente, interdetto, poi si voltò di scatto e cominciò a correre lungo il varco che si apriva dietro il tavolino. Il poliziotto tirò fuori una vecchia pistola che portava sempre con sè e seguì lo stesso percorso, che lo portò quasi subito davanti ad una porta chiusa. Si fermò guardingo e restò immobile lì dietro, con la pistola in alto, in una posa plastica alla Derrick. Da sotto la porta vedeva una striscia luminosa e sentiva un brusio ovattato che gli fece capire che la porta era isolata acusticamente e che ci dovevano essere molte persone nella stanza. Questo certo non deponeva a favore dell'ipotesi che si stesse svolgendo un'innocente seratina tra amici. Ma perchè allora l'uomo non lo aveva attaccato, perchè era scappato se poteva farlo fuori? La situazione si prestava a mille ipotesi ma, come abbiamo detto, Charly non era un pensatore. Ormai era in ballo. Prese fiato con forza e con la spalla spinse la
porta. Inaspettatamente, questa si aprì morbidamente e si trovò dentro.

Una luce intensa lo intontì per un attimo. Ripresosi, si rese conto di trovarsi in un'enorme sala, scintillante di luci e decorazioni, con tavolini e sedie in metallo dorato, su cui erano seduti signori e signore elegantissimi. Smoking bianchi, tailleurs e abiti lunghi, pettinature vistose e gioielli ondeggiavano con grazia in quello spazio dorato. Sul fondo erano visibili quattro ampi archi decorati e a lato uno spettacolare bancone con intarsi in radica di noce. Ma quello era il Caffè Dorian! Ebbe un brivido, come se stesse facendo un viaggio nel tempo. Tutto era incredibilmente identico a quando da bambino ci andava a prendere il gelato!
Esterrefatto, non riuscì a profferire le frasi istituzionali che si era coscienziosamente preparato e, senza che se ne rendesse conto, la pistola tornò giù. Nessuno degli ospiti lo aveva ancora notato, ma prima che si riprendesse completamente dalla sorpresa, vide avanzare verso di lui l'omone del corridoio, preceduto da un signore la cui espressione corrucciata mal si addiceva allo splendido smoking che portava e alla gelatina che teneva i radi capelli fissati in una curva perfetta. L'uomo, sulla cinquantina, lo prese per un braccio e con una forza e una decisione che non ammettevano obiezioni, lo trascinò fuori dalla sala, di nuovo nel corridoio da cui era entrato. Non contento, continuò a trascinarlo ancora per qualche metro, svoltando in una stanzetta laterale. Mentre l'omone seguiva a ruota, l'uomo con lo smoking gli aveva tolto di mano la pistola e lo spingeva con forza contro un gran numero di cappotti ordinatamente appesi.
"Ascoltami!" cominciò il tipo con voce bassa e minacciosa "Sei entrato in un luogo privato con una pistola, hai commesso un reato e io sono un commissario di polizia! Potrei farti fare tranquillamente cinque anni di galera!" e mentre con una mano lo teneva saldamente per il bavero del cappotto, con l'altra aveva recuperato fulmineamente un documento che ora gli sventolava sotto il naso. "Commissario, io non..."
"Ascoltami bene!" riprese senza farlo finire "Questa è un'associazione culturale regolarmente registrata, solo i soci sono ammessi!" ma mentre terminava la frase, come se si fosse ricordato chi fosse, lasciò la presa e mentre l'altro si risistemava si spostò di lato, mettendosi pollice e indice ai lati del naso. "Tu adesso mi stai creando problemi ..." dopo un lunghissimo silenzio riprese "...Giusto perchè tu non ti faccia strane idee... Per desiderio e con i fondi lasciati dal vecchio proprietario deceduto prematuramente, i figli ed altri amici si sono impegnati a mantenere il posto così come era quando il padre era vivo e a far sì che questo continuasse a svolgere il ruolo che svolgeva allora, ma in forma privata. Il caso ha voluto che un insieme di ambienti alle spalle del locale fossero messi in vendita in quel periodo e gli eredi li hanno acquistati, ricavando da quelli il percorso in cui ti sei infilato senza autorizzazione.
Se credevi di aver scoperto qualcosa di strano, beh, ti sei sbagliato. Qui viene solo gente per bene, gente che vuole soltanto vivere ancora quei tempi d'oro, gente che non si trova bene in questi tempi di merda! Tutta gente che non ha secondi scopi. Viene qui, passa una bella serata e torna a casa. Qualcuno fa donazioni, ma solo per la manutenzione del locale e per il cibo. Nessuno guadagna nulla da questa storia!". Silenzio. Intanto gli camminava davanti, osservandolo con occhi torvi. Charly tentò ancora di scusarsi balbettando, ma ancora una volta il commissario lo interruppe.
"Facciamo così... io adesso ti lascio andare... ma prima mi dai i tuoi documenti!" e con la mano tesa aspettava che l'altro glieli porgesse. Ricevutili, mentre li guardava riprese "Ok. Questo è il tuo nome e questo è il tuo indirizzo. Dicevo... io adesso ti lascio andare. Va bene?"
L'altro annuiva appena. "Ma se si viene a sapere in giro di questa cosa" disse avvicinandoglisi col dito puntato "vengo personalmente a prenderti a casa e ti giuro che ti pentirai di avermi incontrato oggi! Ora ho da fare, abbiamo ospiti importanti dall'Arabia!" Si risistemò lo smoking e si avviò verso la sala, mentre l'omone rimaneva ben piantato sul posto a mò di barriera.
"G...grazie" disse Charly con voce fioca. vide la pistola a terra e la raccolse. Poi si girò su sè stesso un pò stordito e riuscì ad individuare dov'era la strada per il ritorno. Si avviò, alzò la mano e disse all'omone "Arrivederci", ma si rese subito conto dell'inadeguatezza della parola.

Quando uscì dal portoncino, il suo amico era lì vicino che lo aspettava. "Charly!" gli gridò ancora sotto voce, avvicinandosi saltellando come un cane felice di rivedere il padrone "Allora? Allora?" chiese.
"Oh! Era solo gente che andava a giocare a ramino! Sei uno stupido complottista! Mi fai solo perdere tempo!".