OPERETTE IMMORALI
TRE UOMINI IN BARCA v.X6
Tre ragazzi semplici, rissosi, che hanno studiato poco o niente ed hanno passato l'infanzia a lavorare con i genitori la terra pietrosa dell'interno assolato della Sicilia. E ancora adesso bruciano neri sotto il sole, fanno i muratori in una piccola azienda edile.
Ma in questa fine estate hanno deciso di fare qualche giorno di vacanze al mare ed hanno trovato a buon prezzo un alberghetto sulla costa in fondo allo stivale. Fare il bagno, ubriacarsi, bruciarsi ancora sotto il sole e casomai trovare qualcuna che ci sta. Ma non è facile, alle ragazze bisogna parlare e loro meno aprono la bocca e meglio è. Sarebbe bello una straniera, una che non cerca tante parole, questa è l'unica categoria di stranieri che apprezzano, gli altri o sono delinquenti o ti rubano il poco lavoro che c'è.
Ma quando i tre arrivano, scoprono che ormai la maggior parte dei turisti è tornata a casa e così per la maggior parte del tempo stanno stesi sulla spiaggia vuota a non far niente. Il sole scotta ancora, ma la loro pelle è come cuoio. La sera bevono e vanno in giro.
Poi arriva quel giorno.
Stesi al sole da qualche ora, già stufi di quella vita troppo facile, fanno un bagno chiassoso e poi si avviano per una passeggiata sul bagnasciuga. Camminano dandosi spintoni e forti pacche sulle spalle, ridono. Ad aumentare la loro ilarità compare su una duna una gallina dispersa. Con schiamazzi e corse scomposte la prendono. Uno di loro se la tiene sotto il braccio mentre continua la passeggiata, anche se non sa il perchè. Poco più avanti, nascosta in un anfratto tra le rocce, c'è una vecchia barca a remi. Nessuno di loro sa come si rema, ma è molto divertente provarci una volta messa in acqua. Sguazzano e ridono sopra la barchetta.
Il mare è calmo, ma i tre non sanno che è prevista tempesta. Ben presto il cielo si fa scuro, si alza il vento e prima che riescano a tornare a terra, la corrente comincia a spingerli al largo. I goffi tentativi con i remi non portano ad alcun risultato, l'unica soluzione sarebbe che qualcuno si butti e arrivi a nuoto a riva per chiedere aiuto, visto che hanno lasciato tutto sugli asciugamani stesi sulla spiaggia: cellulari, vestiti, soldi, documenti. Hanno con loro solo la gallina, che se ne sta nascosta sotto un'asse della barca. Ma hanno perso troppo tempo, il mare ormai è molto mosso, la distanza è tanta e nessuno di loro è un buon notatore. Il cielo diventa più nero e le onde più alte, il rumore dell'acqua adesso fa paura. Ancora qualcuno di loro prova ad usare i remi, non sanno che in quella situazione neppure un campione olimpico sarebbe in grado di riportare a riva la barca.
La speranza che la corrente possa riportarli a riva scompare definitivamente quando scompare la silouette della costa. Ora non ridono più, ma neppure piangono perchè da ragazzi non si ha molto il senso delle disgrazie. Più che altro fanno quello che sanno fare meglio, litigano per decidere a chi debba andare la colpa di questo ridicolo disastro, litigano con quel modo di parlare sgrammaticato dal un tono cupo di un trombone inceppato.
Arriva la notte e se la passano sotto un vecchio telo di plastica che hanno trovato nella barca, mentre le ampie onde li sballottano con un ritmo lento e continuo. E ogni tanto arriva pioggia.
Il giorno dopo sono ancora lì, che svuotano con le mani l'acqua che entra di tanto in tanto nella barca. Il sole che è finalmente ricomparso. Sembra una fortuna, ma quando si alza è come una fornace sospesa sulle loro teste. Cominciano ad avere sete e nessuno di loro ha idea di cosa fare.
La gallina è ancora lì, nascosta.
Improvvisamente, come un miraggio compare una nave in lontananza. Non è grande, è lunga e grigia, è una motovedetta della guardia costiera. I ragazzi in piedi fanno ampi gesti con le braccia e gridano "Accà! Accà! Stamm cca!", ma la nave rimane a distanza, nascosta a intermittenza dalle lunghe onde. Possibile che non li abbiano visti? Continuano a gridare e gesticolare e finalmente la nave si avvicina. Dal ponte un militare comincia a parlare dentro un megafono "Fatevi riconoscere! Comunicate i vostri dati!". Le loro risposte zoppicanti si confondono tra i rumori del mare, della nave e del megafono. Finalmente i militari agganciano la barca e li tirano su.
Sul ponte, il capitano li squadra: sono mezzi nudi, affumicati dal sole, con i capelli neri pieni di salsedine e la barba incolta.
"Mi hanno detto che non avete documenti" dice scandendo le parole.
"E lasciamm n'copp a'spiagg, marescià!" rispondono i ragazzi. Ma il comandante è di Trieste, li osserva immobile, poi si volta verso l'assistente che gli sta alle spalle e gli chiede a voce bassa "Non avevate detto che parlano italiano? Che hanno detto?" "Hanno detto che non ce li hanno, comandante!" risponde quello.
"Allora, da dove venite?"
"Venimm da Barria!"
"Vi ho chiesto da dove venite! Da-dove-venite? Dalla-Libia? Dal-Marocco?"
"No! No, pe' ccarità!! Da Barria, dall'Italia! Italy!"
Il comandante li guarda male e si rivolge di nuovo al suo assistente, stavolta con tono formale: "Deganutti, scrivete: I tre giovani non hanno documenti di riconoscimento e parlano uno stentato italiano. Pur essendo stati trovati al confine libico, dichiarano di venire dall'Italia. Ah, e aggiungente che hanno con loro una gallina" poi risoluto "Prendetegli le impronte digitali e metteteli con gli altri secondo la procedura!".
I tre vengono portati sotto il ponte. Sono confusi, fanno domande confuse e questo peggiora le incomprensioni. Arrivando nella stiva, prima sentono un forte odore, poi vedono una trentina di persone, tutte distese o sedute, coperte di panni variopinti e teloni di plastica metallizzata, qualcuno dorme. Sono quasi tutti giovani uomini di colore, ma c'è anche qualche donna e qualche bambino molto piccolo.
I tre non sanno dove mettersi, poi trovano un angolino e da lì osservano la scena come intontiti, con la gallina in braccio, muti.
Intanto la tempesta riprende con forza, ritorna a piovere forte e la motovedetta beccheggia.
Improvvisamente si sente un rumore fortissimo, come un crack.
"Comandante, comandante, abbiamo un problema! Un fulmine ha colpito la nave! E deve aver danneggiato l'impianto elettrico, perchè è comparso il segnale di allarme!"
"Ma come è possibile!? Forza allora, aggiustatelo!"
"Dobbiamo capire cosa è successo!"
"Ma dai, non fatemi fare brutta figura!" "Non facciamo che siamo costretti a chiamare aiuto noi, noi che stiamo qui per portare aiuto agli altri! Su su, dai, diamoci da fare!". I marinai si muovono avanti e indietro mentre la nave balla tra le onde e i fulmini.
Dopo più di un'ora i marinai devono gettare la spugna. "E' inutile comandante! Il danno è troppo importante, sono bruciati centinaia di metri di fili elettrici e una decina di componenti..."
"E allora?"
"Non abbiamo i pezzi, comandante. E procedere manualmente è impossibile. Lei lo sa, siamo carichi e la tempesta sta peggiorando." E un altro più risoluto: "Non possiamo aspettare ancora comandante, dobbiamo chiamare soccorsi, prima che sia troppo tardi!".
Il comandante si volta a guardare il mare con gli occhi lucidi, sa che è necessario farlo ma la cosa gli brucia come una coltellata nella pancia. Questa sarà una macchia nella sua carriera difficile da cancellare.
"E allora, che sia! Vi autorizzo! Fatelo!" dice con gesto drammatico.
"Qui è la motovedetta Argo! Qui è la motovedetta Argo, chiediamo soccorsi!"
"Qui è la motovedetta Argo! Qui è la motovedetta Argo, rispondete!"
"Signore, non sappiamo se ci troviamo in una zona con assenza di campo, se è a causa della tempesta o se è stato danneggiato anche il sistema radio... Ma nessuno risponde!"
Adirato, con passo risoluto il comandante va dal timoniere "Allora, il motore non va neppure al minimo? Non riesci a governare la nave?
"Nossignore signore, neppure il timone può essere gestito senza elettricità, siamo in balia delle correnti!" risponde il timoniere con dignità .
"Accidenti! Ma dove ci stanno portando le correnti?" chiede l'ammiraglio
"Verso la Libia, signore!"