OPERETTE IMMORALI
IL TERREMOTO DEL DIAVOLO       v.14

Tutti i terremoti sono diversi ed i loro effetti possono essere imprevedibili e bizzarri.
Quello di questa storia colpì con un'unica forte scossa una zona che potrebbe essere del sud-est asiatico, o forse del centro America. Il territorio era scarsamentre abitato e la maggior parte della popolazione viveva in piccole baracche di legno e fango, ma gli elicotteri militari che si erano alzati in volo, avevano segnalato un gran polverone in mezzo alla foresta, segno inequivocabile che in quel punto qualcosa di grosso era crollato. E non poteva essere altro che l'unica grande costruzione della zona: il penitenziario di Sant'Isidoro. Questo era un carcere di massima sicurezza, un iponente edificio squadrato con cortile interno che, proprio per la sua posizione isolata in mezzo alla foresta, veniva usato per rinchiudere i criminali più pericolosi della nazione.
Celermente era stato inviato in zona un corpo speciale dell'esercito con ruspe e grandi camion, ma l'unica strada asfaltata per raggiungere il carcere ben presto risultò ostruita in vari punti da smottamenti ed alberi caduti. Così i militari del convoglio procedevano molto lentamente, dovendo liberare di volta in volta la carreggiata.

Nello stesso tempo, dal lato opposto era partito un piccolo gruppo internazionale di protezione civile che doveva occuparsi dell'aiuto medico: una ventina di persone tra volontari generici, personale sanitario, vigili del fuoco e forestali con alcuni fuoristrada carichi di medicinali e tende e con una piccola ruspa trainata su un rimorchio. Si erano avviati lungo la strada non asfaltata convinti che avesse subìto meno danni, ma avanzando anche questa risultò ostruita da alberi e frane e così anche i volontari dovettero darsi da fare per farsi largo. Quando, dopo due giorni di duro lavoro arrivarono sul posto, dalle macerie si sollevavano ancora nuvole di polvere che rendevano l'ambiente come immerso nella nebbia. In giro sembrava non esserci nessuno. Neppure i militari.
Contattata la base, i volontari seppero che il convoglio dell'esercito era bloccato a causa di un tratto di strada franato, ma che stavano lavorando per ripristinarlo. Toccava a loro dunque cominciare a scavare per tentare di salvare i superstiti. Dalle informazioni risultava che nell'edificio lavoravano circa venti agenti tra secondini, militari e dirigente e che in quel periodo vi erano reclusi circa duecento detenuti. Mentre alcuni volontari iniziavano a montare le tende, altri fecero un giro di ricognizione al limitare della foresta. Al loro ritorno confermarono la prima impressione: nei dintorni non c'era nessuno. Il giorno dopo, tra le mille difficoltà che si possono immaginare in un luogo così selvaggio, cominciò il lavoro di scavo. La piccola ruspa annaspava tra i detriti e svolgeva il lavoro con molta lentezza, anche perchè nessuno del gruppo era esperto di scavi.

Erano già due giorni che i lavori di scavo procedevano, ma i risultati lasciavano perplessi i volenterosi volontari. Sotto le macerie non sembravano esserci sopravvissuti e si contavano solo ventuno corpi, molti meno di quelli che ci si aspettava. Dove erano finiti gli altri? Gli uomini erano preoccupati. Girava voce che i detenuti di quel carcere fossero delinquenti pericolosi e se avevano trovato così pochi corpi, questo significava che certamente molti di loro erano sopravvissuti e che quindi potevano essere ancora in zona, casomai a pochi metri da loro, che li osservavano nascosti nella fitta foresta che li circondava. Quindi, tutti aspettavano con ansia l'arrivo dei soldati e per evitare brutte sorprese, furono organizzati turni di vedetta. Nei giorni successivi la piccola ruspa lavorò ancora a pieno ritmo per cercare eventuali sopravvissuti, ma tutta quella fatica non cambiò il risultato: nessun altro vivo e nessun altro morto furono ritrovati tra le macerie. Continuavano a mancare all'appello la maggior parte dei dispersi. Intanto, i corpi ritrovati erano stati sistemati in una zona laterale, coperti con un telo di plastica nero, circondati da filo spinato e tenuti sotto controllo dalle vedette per tenere lontane le belve.

Ora occorreva svolgere lo sgradevole compito del riconoscimento dei corpi, che fu affidato a due di loro. In base ai documenti che le salme avevano addosso, i due arrivarono ad un'incredibile conclusione: i corpi ritrovati erano tutti del personale del carcere. Tra loro non c'era neppure un detenuto! Quando la cosa fu comunicata agli altri, ci fu un momento di trambusto e l'aria diventò pesante, ora quel terremoto appariva come un killer che aveva falcidiato i giusti e risparmiato gli ingiusti. Fu contattata immediatamente la base per descrivere la pericolosità della situazione e per chiedere di poter abbandonare il sito, ma i dirigenti non considerarono la cosa così grave. Bisognava restare sul posto almeno fino all'arrivo dell'esercito, che era ormai vicino. Gli animi però si erano surriscaldati e alcuni insistevano per partire lo stesso, ritenendo che la presenza dei criminali superstiti in zona fosse un rischio per le loro vite. Dopo qualche battibecco, il capo, un uomo di mezz'età con un basco e una specie di divisa, riuscì a convincere il gruppo a rimanere, quantomeno per il rispetto delle vittime, i cui corpi altrimenti sarebbero andati in pasto alle belve. Il senso del dovere aveva prevalso, ma la situazione restava tesa.

Nel pomeriggio, il capo aveva chiamato tutti a raccolta. Sottobraccio aveva l'unico registro che erano riusciti a recuperare dai detriti. Si trattava del registro dove venivano annotati i vari eventi delle giornate: i pasti, la svegila eccetera. Circondato dagli altri volontari, cominciò a sfogliarlo, cercando notizie. Tutto sembrava insignificante, finchè non si arrivò allo schema generale degli orari. Si sapeva che l'unica, fortissima scossa era arrivata alle quindici e trenta del pomeriggio e dallo schema risultò che dalle quindici alle sedici di ogni giorno si teneva l'ora d'aria, ora in cui i detenuti avevano la possibilità di passeggiare nel grande cortile interno. Non ci volle molto a capire che la scossa era arrivata proprio durante l'ora d'aria dei detenuti. L'edificio era collassato su sè stesso e gli uomini del personale, che erano rimasti all'interno, erano tutti periti mentre i detenuti, che erano a camminare nel cortile, a quanto pare si erano salvati. Tutti ora ricordavano che il cortile interno era rimasto pressochè intatto, si poteva ancora riconoscere la sua pavimentazione, circondata tutt'intorno dai detriti dell'edificio crollato.
Purtroppo questa novità aveva peggiorato ulteriormente lo stato d'animo dello staff. Ora infatti era chiaro che il crollo dell'edificio, non solo aveva ucciso i secondini risparmiando i delinquenti ma, come se seguisse un piano diabolico, aveva anche permesso ai criminali di scappare. La successiva difficoltà di accesso al sito poi aveva consentito a questi di dileguarsi indisturbati nella foresta.
A questa notizia molti si disperavano, altri gridavano rabbiosi, lamentandosi di essere stati mandati allo sbaraglio in un posto maledetto. Serpeggiava la sensazione che nessuno sarebbe uscito vivo da quella foresta. Tutti erano spaventati, più che dai criminali che potevano aggirarsi nei dintorni, da un pericolo più grande e incombente. Adesso si avvertiva nell'aria qualcosa di orribilmente malefico, che sembrava minacciare tutti in modo invisibile. Una minaccia che poteva manifestarsi in mille modi: avrebbe potuto prendere la forma di una tempesta, di un incendio o di un altro terremoto. Ma anche di un mostro o di un evento ultraterreno. Insomma, sembrava che in quel luogo potesse accadere di tutto, anche quello che in altri luoghi sarebbe stato impossibile. Nessuno lo diceva apertamente, ma tutti ora pensavano che il diavolo in persona avesse organizzato quell'evento e che la sua presenza aleggiasse ancora in quel luogo. Il suo stesso fiato sembrava colpirli ad ogni colpo di vento.
Di giorno si lavorava per trovare altri corpi, ma di notte si stava sul chi va là e qualcuno cominciava a perdere la calma. Più di una volta le discussioni avevano rischiato di trasformarsi in rissa. Il gruppo dei cosiddetti disertori diventava ogni giorno più consistente e sempre più minaccioso, ma ancora una volta la base, coadiuvata dal capo della spedizione, aveva convinto gli uomini a rimanere, rassicurandoli sul fatto che i militari erano dietro l'angolo e che appena fossero arrivati, avrebbero potuto lasciare il campo con onore e senza altre autorizzazioni.

Il tempo intanto era bruscamente peggiorato. Aveva cominciato a cadere una pioggia noiosa che sembrava non voler smettere più e tutti temevano che questa avrebbe aumentato il ritardo dei militari. Ancora una volta, sembrava che un perfido burattinaio stesse muovendo le fila di un gioco mortale a cui nessuno di loro poteva sottrarsi. Era un'alba scura e roboante di tuoni. Avviliti dalle risposte vaghe della base riguardo all'arrivo dell'esercito, un gruppo di loro era nella tenda principale a discutere sul da farsi, quando un ragazzo della ronda di guardia entrò ansimando "C'è un rumore! C'è un rumore!" e corse via. Tutti lo seguirono fuori felici, certi che si trattasse dei rinforzi che finalmente erano arrivati. Ma in giro non si vedeva nessuno e il volontario intanto si stava inerpicando tra le macerie. Dopo un breve percorso, scese gattescamente in un grande avvallamento di detriti, poi si immobilizzò e con la mano faceva segno agli altri di avanzare lentamente e di fare silenzio. Ed ecco il rumore, come uno scricchiolio. Poi un altro, venivano da sotto i detriti! Tutti sbiancarono, avevano già scavato in quella zona e non avevano trovato niente, ma questo rumore veniva da più sotto, da sotto il livello del pavimento. Alcuni stavano immobili, come su una lastra di giaccio sottile, altri giravano lentamente a distanza e nessuno aveva il coraggio di fare alcunchè. In questo silenzio assoluto il rumore tornava ogni tanto, a volte più frequente, a volte meno. Uno di loro, con gli occhi fuori dalle orbite, cominciò a parlare sottovoce, come per non farsi sentire dall'autore di quei rumori. "E' il diavolo! E' il diavolo che sta arrivando qui in persona! Vuole finire l'opera con noi! Vuole far fuori tutti i giusti!". Un'altro, più razionale, fece notare "Potrebbe essere qualche sopravvissuto... ma se tutti gli addetti alla sorveglianza sono morti, quelli che fanno questi rumori non possono che essere i delinquenti sopravvissuti che stanno per uscire!". Improvvisamente, un altro rumore, alcuni detriti si mossero. Tutti scapparono via e subito dopo un rumore più forte fece alzare un grande sbuffo di polvere in quel punto. Ma non accadde altro. Quando il fumo si diradò, il capo ebbe il coraggio di avvicinarsi e vide che tra i detriti si era aperto un buco. Anche gli altri si avvicinarono e fu chiaro che era crollato il soffitto di una stanza sotterranea.
Il buco era stretto e il capo decise di avviarsi da solo. Ne uscì dopo un infinito numero di secondi, coperto di polvere e con un libro sotto il braccio. Concitatamente spiegò agli altri che quella lì sotto doveva essere una stanza dell'amministrazione perchè aveva visto scrivanie, sedie e mobili di vario genere. E su una scrivania aveva trovato quel libro. Si sedette su alcuni detriti e subito cominciò a sfogliarlo, mentre gli altri gli si avvicinavano. Era l'elenco dei detenuti, ma non sembrava un registro ufficiale. Da questo risultava che i detenuti non erano delinquenti comuni, ma detenuti politici. C'era l'elenco dei nomi, dei reati commessi e della pena. Ma solo i nomi cambiavano, il reato era sempre lo stesso: opposizione al partito di maggioranza e anche la pena era la stessa: carcere a vita. Tutti rimasero senza parole. Non ebbero il tempo di fare mente locale che sentirono un rumore lontano. Erano i mezzi dell'esercito che si avvicinavano! Tutti rimasero immobilizzati da un improvviso e non ancora ben motivato terrore. Il capo fu il primo a muoversi, lanciandosi velocemente dentro il buco. Ne uscì subito dopo senza libro e si fece aiutare dagli altri a ricoprire velocemente il varco con i detriti.

Quando pochi minuti dopo la carovana dei militari arrivò, i volontari li accolsero asciuttamente. Il capo comunicò al loro comandante che con i loro pochi mezzi avevano solo cominciato gli scavi e che lasciavano a loro il compito di continuare in quanto i suoi uomini erano ormai allo stremo ed erano costretti a rientrare immediatamente. Raccolsero in fretta e furia le loro cose e partirono.